Siamo tutti un po' psicologi?
Per un laureato in psicologia non può esistere frase più fastidiosa che questa. Se "siamo tutti un po' psicologi" allora che cosa ci stiamo fare noi psicologi di professione a studiare per una decina d'anni, svolgendo intorno alle 2000 ore di tirocinio gratuito? Questo non contando eventuali master, corsi di perfezionamento o conferenze per l'accumulo dei crediti formativi. Perché fare tanta fatica se poi sono un "po' psicologi" anche i parrucchieri, i baristi, gli avvocati o gli elettricisti?
La verità è che questa frase è falsa e vera allo stesso tempo: dipende da che punto di vista la vogliamo osservare.

È falsa perché fare lo psicologo non significa "saper ascoltare" e "saper dare buoni consigli": quello è il ruolo del bravo amico, semmai (o parrucchiere, barista, ecc.).
Chiunque abbia frequentato lo studio di uno psicologo e/o psicoterapeuta sa che egli ascolta, sì, ma in maniera attiva, attraverso lo strumento generativo della domanda. Sa anche che non da mai i cosiddetti "consigli", ovvero non suggerisce quali scelte siano le migliori per la vita del proprio paziente. Alcuni terapeuti, in virtù del proprio approccio teorico, potrebbero dare delle indicazioni terapeutiche, sotto forma di homework, tese a spingere la persona a trovare dentro di sé la direzione (ben altra cosa da un consiglio).
Lo psicologo, inoltre, diagnostica e cura (o, se vogliamo dirla in maniera meno "medica", valuta e genera cambiamento) e questa è una competenza specifica, distintiva. Essa non può appartenere a nessun altro, in quanto si costruisce con lo studio, la dedizione e l'esperienza sul campo che avvengono durante un percorso formativo organizzato e preciso.
Su questo ultimo punto però attenzione, perché non bisogna cadere nel tranello di pensare che queste siano prassi-interruttore, che si accendono soltanto nei casi dei pazienti più compromessi. Come a dire che chi è "normale" dallo psicologo va a fare quattro chiacchiere, mentre i "matti veri" (quelli che saltano sui tavoli, parlano da soli o hanno comportamenti altamente bizzarri...) sono lì per fare sul serio. No, la terapia è seria per tutti (e la patologia mentale non ha nulla a che vedere con l'essere "strani"). La terapia è per chi conduce una vita regolare, tutto sommato equilibrata, ma ciò nonostante nel proprio teatro interiore è inseguito dai mostri: ansia, fobie, attacchi di panico, pensieri ossessivi, traumi, lutti, problematiche relazionali, sessuali, lavorative, sensi di inferiorità, di inadeguatezza, bassa autostima, paura del giudizio, del rifiuto, dipendenza, disturbi alimentari... la lista potrebbe procedere all'infinito.
È vera perché, alla fine, siamo tutti i massimi esperti di noi stessi. Gli psicologi si occupano dei modi con cui si sceglie e si può scegliere di stare a questo mondo, ma chiunque ne conosce molto bene almeno uno: il proprio. I più fortunati poi ne conoscono più d'uno, grazie a chi gli sta vicino che gliene ha mostrati altri, di più o meno validi. Coloro che sono ancora più fortunati ne hanno addirittura testati più d'uno, perché hanno trovato il coraggio di tanto in tanto, nel loro tragitto, di provare a cambiare.
È questo il motivo per cui pensiamo di "sapere che cosa significa" quando intercettiamo le sofferenze altrui, perché proiettiamo sul mondo il nostro modo di pensare e vedere. Offriamo un consiglio perché proviamo a trasmettere un modo che conosciamo e abbiamo visto poter funzionare: tal volta calza, tal volta meno, ma tutti ci possiamo provare. Questo sì.
Allora forse possiamo arrivare a dire che non siamo tutti un po' psicologi, ma tutti abbiamo la capacità di poter empatizzare con l'altro, grazie al nostro essere - ebbene sì - umani.
Ciò che in più può offrire uno psicologo è la competenza e l'esperienza di saper fare un passo indietro rispetto al proprio punto di vista, al proprio sentire, per sintonizzarsi con il proprio paziente (che, per i più attenti, è diverso dal "provare empatia") e accompagnarlo in un viaggio di esplorazione di modi diversi con cui può leggere e affrontare le cose della vita.