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Posso dire che vado dallo psicologo?

Secondo le mie statistiche professionali, almeno un paziente su tre sceglie di mantenere il segreto sul fatto che va dallo psicologo e, il più delle volte, è proprio ai familiari più stretti che si teme di dirlo. Ai genitori no perché "ci rimarrebbero male", ai partner no perché "non capirebbero", a zii e cugini nemmeno perché "penserebbero che sono matt*". Ed è così che continua a perdurare il tabù dello psicologo, perché per quanto chi c'è stato sa bene che egli non è né il medico dei matti né quello dei fragili, si continua a temere che lo pensino gli altri.


Chissà quante persone non si sono dette a vicenda che vanno dallo psicologo, per paura di essere giudicate dall'altro. Un caso singolare che capitò nel mio studio qualche anno fa, poco prima dello scoppio della prima ondata di pandemia, fu di ricevere la richiesta di adesione ai gruppi autostima che indicevo all'epoca da parte di due partner che senza dirlo l'un l'altro si erano iscritti. Mi chiamò lei pochi giorni prima dell'avvio del percorso per dirmi che confrontandosi con il compagno si erano resi conto di aver prenotato un posto per lo stesso gruppo: alla fine decisero di avviare insieme una terapia di coppia, durante la quale emerse che il motivo per cui non avevano fin da subito dichiarato al partner di essersi iscritti ad un gruppo indetto da una psicologa era il timore di essere pensati come "rotti" dall'altro.



Ma alla fine non siamo tutti un po' rotti? Sì, lo so, questa frase potrebbe sembrare un cliché ma spesso dietro le frasi più banali si nascondono le verità più profonde.

Ve lo posso anche spiegare il perché siamo tutti rotti o perché, come diceva lo stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie, "we are all mad here".

Il motivo è che siamo tutti figli di due genitori, presenti o assenti, bravi o meno, essi di certo non hanno fatto tutto giusto (e per fortuna, perché come dice la terapeuta Stefania Andreoli, "la madre perfetta è una generatrice di mostruosità", ma questa è una storia per un altro articolo). Le inadeguatezze dei genitori sono quelle che ci hanno permesso di crescere e diventare noi stessi, ovvero qualcosa di diverso da loro: li abbiamo amati durante l'infanzia, odiati durante l'adolescenza e poi accettati. Sì, perché si dice proprio che non si è veramente adulti fino a che non si sono accettate le miserie dei propri genitori senza volerli cambiare.

Nel processo del diventare grandi ci siamo un po' rotti, tutti, perché è naturale che sia così. Alcuni di più, altri meno, la maggior parte di noi è rimasta integra, alcuni hanno perso qualche pezzettino e i meno fortunati hanno bisogno di essere rimessi insieme con l'oro, come una tazza giapponese. Ma tutti, nessuno escluso, abbiamo le nostre crepe: c'è chi se le tiene e chi invece desidera rimediare e, per questo, va da dallo psicologo. Non perché abbia necessariamente delle problematiche più gravi o invalidanti, ma semplicemente perché ogni persona conduce la vita come desidera. Per lo stesso motivo per cui c'è chi mette l'apparecchio perché vuole avere i denti dritti e chi se li tiene storti, e va bene così.


Allora la risposta è: sì, puoi dire che vai dallo psicologo. Anzi, dovresti. Perché giunti al 2022, anno in cui sono stati stanziati per il bonus psicologo 15 milioni di euro e ancora sembra che sarà impossibile assolvere a tutte le richieste che giungeranno, è ora di iniziare a capire che la salute mentale va pensata alla stregua di tutte le altre aree della sanità.


Dillo pure, che vai dallo psicologo. Dillo con la fierezza, a testa alta, perché fai parte dei coraggiosi.







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